martedì 20 dicembre 2011

Sotto il pelo dell'acqua - la cultura sommersa

Patrizia Mucciolo - Le ombre azzurre, ed. Io Scrittore, 2011 (e-book) Presentazione sul sito di Io Scrittore
Roberto Turrinunti - Estanislao Kowal, ed. Il Ponte Vecchio, 2011 Booktrailer a cura di Rosalia Raineri e Debora De Angelis
Angelo Di Liberto - Di questa vita, in pubblicazione a puntate sulla webzine Kultural, 2011 Leggilo!
Rosalia Raineri - Un buco nell'eternità, ed. Miele, 2010 Booktrailer

Inizio con un elenco di libri che ho letto o ho intenzione di leggere prossimamente la rubrica "Sotto il pelo dell'acqua", dedicata alla cultura sommersa: tutte quelle esperienze che, per un motivo o per l'altro, non sono (ancora?) state conosciute o riconosciute dalla nostra società.
Libri, opere d'arte, ma anche esperienze di vita che molto spesso hanno un solo difetto: quello di sottrarsi ai canoni imposti dalla società.
Vite e opere troppo lente o troppo profonde, e perciò non etichettabili dalla società della catena di montaggio, quella che produce miliardi di etichette tutte uguali da appiccicare su ciò che scorre sul nastro.
Qualcuno potrebbe pensare che a determinare i sommersi ed i salvati sia la qualità dei secondi e la scarsa qualità dei primi, ma purtroppo non è così. Nella nostra società non vige la meritocrazia, ma la clamoricrazia: vince chi urla più forte e chi urla più "a tempo con la moda".
Della cultura sommersa iniziai ad occuparmi anni fa con la rubrica La foresta che cresce, che un direttore illuminato mi permise di tenere in prima pagina sul quotidiano l'Adige: raccontai quell'ampia fetta di mondo giovanile che fa, che si impegna, che ha sogni e aspirazioni, totalmente ignorata da una massa mediatica assetata solo di sangue e cattiveria.
Oggi la rubrica non c'è più. I sommersi, però, continuano a vivere e ad operare - e con loro la speranza che il mondo continui ad essere colorato, pieno di diversità, ricco di speranza.

mercoledì 7 dicembre 2011

Costruire il male quotidiano

Non amo la spettacolarizzazione, neanche quella della parola. Per questo sono piuttosto restia a utilizzare frasi ad effetto... che so, come "una tragedia evitata", "la curva assassina", "avrai gloria eterna" e così via. Mi sembra che le frasi d'effetto, oltre ad essere manifestazione di una debolezza intrinseca dello scrivente - incapace di portare sulla carta le emozioni e per questo assetato di magniloquenza -, rappresentino una sorta di tradimento nei confronti della verità.
Per questo ultimamente, quando mi sono trovata a parlare della "banalità del male" riferendomi a un certo modo di sfruttare i giovani, al tempo stesso mi sono scoperta a mordermi la lingua.
Eppure... Accidenti, non voglio spettacolarizzare, ma non posso fare a meno di pensare al concetto così ben espresso da Hannah Arendt. L'idea che il cosiddetto "male" sia in realtà, prima di tutto, un fatto assolutamente quotidiano, praticato da tante brave persone la cui unica colpa potrebbe essere quella di non voler pensare abbastanza, di non voler vedere abbastanza, di non voler capire abbastanza.
La Arendt ne parlava a proposito dei tanti tedeschi qualunque che non volendo pensare, vedere, capire, furono corresponsabili della Shoah. Ci furono gli aguzzini, ci furono coloro che uccisero, torturarono, progettarono un eccidio. Ci furono tantissimi bravi padri (e madri) di famiglia che si limitarono a proseguire la loro brava vita, annaffiando le proprie rose, leggendo le fiabe ai propri figli e portando a spasso il cane, mentre tutto questo si compiva. La loro partecipazione attiva al Male fu così piccola che magari si limitò alla coesistenza con qualcosa di cui intuivano la presenza ma non volevano vedere l'enormità; ad uno sguardo di disprezzo, a un minimo aiuto negato, ad una parolina detta per sbaglio alla persona sbagliata che fece scoprire ebrei rifugiati. Gesti minuti - i "quasi niente" che nutrirono, assecondandola, una tragedia.
Se tutti avessero voluto pensare, vedere, capire, forse le cose sarebbero andate diversamente.

Nel mondo il male continua ad annidarsi nella vita quotidiana, e fa parte dei tanti piccoli mattoncini con cui si costruiscono le catastrofi.
Ci penso anche quando vedo il modo in cui vengono sfruttati i giovani in Italia perchè, anche in questo caso, un grosso problema (per alcuni una vera e propria tragedia) viene alimentato dalle tante piccolissime azioni scorrette di bravissimi padri (e madri) di famiglia.
La segretaria ha ricci composti, un'espressione caritatevole. Siede nel suo sicuro ufficio da dipendente a tempo indeterminato, tra le piante fiorite e i disegni dei nipoti. Sorride quasi con tenerezza mentre ammette: "Sì, in effetti - non dico che sia giusto, ma è così - si tende un po' a considerare i collaboratori a progetto quelli che si possono... non dico sfruttare, no, ma impiegare anche più del dovuto. L'altro giorno se n'è andato un collaboratore che era con noi da tre anni e gli hanno fatto una festona... quasi come se fosse andato in pensione un dipendente vero! Il giorno dopo tutti si sono resi conto che mancavano due persone invece di una, che lui per tre anni aveva fatto lavoro per due!".
Ultimamente ho ascoltato raccontare e visto verificarsi tanti piccoli episodi del genere, e ne sono rimasta sconvolta. Uomini e donne maturi, assolutamente regolamentari - i nostri vicini di casa, i genitori dei nostri coetanei - che, aderendo senza farsi domande a un generale "è così, quindi dev'essere così", danno per scontato che i giovani che lavorano alle loro dipendenze o nei loro uffici siano strumenti e non persone. Che dispensano con leggerezza promesse di assunzione, che fanno fare stage di sei mesi gratuiti senza alcun progetto, e quindi totalmente inutili, dando per scontato che gli stagisti esistono solo per essere usati, che sfruttano il lavoro dei giovani desiderosi di compiacere in cambio di una paga che mai arriverà - pronti a sostituirli non appena chiederanno il loro giusto compenso - , che trattano i contrattisti da moderni schiavi.
Non sono tutti così, ma sono in tanti. Troppi.
Qualcuno di questi maturi signori si difenderà dicendo che da che mondo è mondo i giovani devono fare "gavetta", che noi siamo dei bamboccioni viziati che vorrebbero subito il posto sicuro e ben pagato.
Non sto parlando del "fare gavetta", e i maturi signori lo sanno benissimo. Solo, non vogliono pensare, vedere, capire.