martedì 14 maggio 2013

Delle gravidanze (letterarie e letterali)

Succede quando hai appena pubblicato un libro. Che hai meditato per un sacco di tempo, al quale hai dedicato le tue energie e i tuoi ritagli di tempo libero degli ultimi tre anni, sulle cui bozze hai lavorato negli ultimi dodici mesi, otto dei quali divisi tra il libro e una gestazione nel senso letterale del termine - e quindi con tutte le stanchezze, lo stress, la caterva di esami e visite che si dicono necessari per una cosiddetta "gravidanza fisiologica".
Succede quando sei a tre settimane dal parto, e te ne vai in giro con la tua pancia bella tonda, intimamente contenta di dare vita, di sentirti parte del ciclo della Vita stessa e allo stesso tempo infastidita dai luoghi comuni e le frasi fatte che già piovono sulla povera creatura che verrà, ancor prima che metta piede in questo mondo che non si sa più nutrire di parole.
Improvvisamente, ti rendi conto di due cose.
La prima è che il tuo status di Futura Mamma - ottenuto, se vogliamo proprio essere sincere e senza nulla togliere al miracolo della vita nuova, con sforzo minimo - surclassa il tuo status di scrittrice, quello che ti sei sudata per vent'anni della tua vita, e che - in quanto giovane scrittrice - ti trovi a dover difendere giorno dopo giorno da eserciti di livorosi, professoroni, scettici, indifferenti e più in generale rompipalle. Non solo lo surclassa: lo mette in ombra. Non solo lo mette in ombra: lo annulla. Poco importa quello che sei, che sei stata, che vorresti essere: l'immagine che improvvisamente tutti associano a te è quella della mamma mulinobianco, che sorride mentre spruzza la casa di antiacaro, pulisce volenterosa la cacca della nuova generazione rampante e in cambio la imbottisce di prodotti preconfezionati ma tanto tanto colorati. Tu, che ti sei preparata per tempo a rispondere a domande sulla tua carriera, i tuoi sogni, la nascita del tuo bisogno di incidere la carta con le tue emozioni, ti trovi a rispondere ogni giorno solo ed esclusivamente alle fatidiche domande: "Quanto manca?" e "Come la chiamerete?".
La seconda è che, del fatto che oltre ad una pancia tu abbia un cervello, un cuore e quant'altro, non gliene frega niente a nessuno.
Vedi i tuoi colleghi maschi, con o senza prole, che continuano ad essere considerati prima di tutto persone.
Riguardi il film della tua vita a ritroso e noti:
- che i livorosi che ti hanno messo i bastoni tra le ruote sono perlopiù maschi adulti, e di una certa età
- che in tutte le realtà in cui hai lavorato i posti di potere erano occupati da maschi
- che ai tuoi coetanei appartenenti al sesso maschile la società sembra dare un certo credito, quando a te capita che persone che non hanno manco letto un tuo libro ti facciano delle critiche solo perché ritengono che a una persona della tua età sia opportuno farle ("Non sia mai che le venga l'idea di continuare ad esprimere le proprie idee, c'è il rischio che risultino più interessanti delle mie")
Ed ecco che proprio tu, che non hai mai dato grande importanza alle questioni di genere, senti che forse essere donna è ancora, tutto sommato, un peso.

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